Demofoonte, libretto, Stoccarda, Cotta, 1764

 LA MORTE DI LICOMEDE
 ballo tragico
 
 
 PERSONAGGI
 
 ALCESTE regina di Tessalia
 PRINCIPESSE TESSALE
 ADMETO re di Argo
 LICOMEDE re di Sciro
 ALCIDE o ERCOLE
 FERETE padre di Admeto
 APOLLO
 AMORE
 IMENEO
 
 Seguito di Alceste, seguito di Licomede, seguito d’Ercole, donne schiave dell’isola di Sciro, venti, marinai.
 
    La musica è di nova composizione del signor Teller, musico da camera di sua altezza serenissima.
 
 Comparse: le arti, gli astri, le muse, le ore, le costellazioni, soldati al seguito di Licomede, soldati al seguito di Admeto, soldati al seguito di Ercole.
 
 
 DISTRIBUZIONE DEL BALLO
 
 ALCESTE
 (la signora Toscani)
 PRINCIPESSE TESSALE
 (le signore Asselin, D’Henneterre, Gardello)
 ADMETO
 (il signor Vestris maggiore)
 LICOMEDE
 (il signor Lépi)
 ALCIDE
 (il signor Vestris minore)
 
 Seguito di Alceste: le signore Favier, Blondeval, Toscani minore, Richieri, Durand, Adelaide, Delaître, Évrard; le signore Mercier, Sabbaty, Marcadet, Boudet, Artus, Rosine, Armény, Massu.
 
 AMORE e IMENEO
 (le signorine Delaître)
 APOLLO
 (il signor Picq)
 CAPO DEGLI SCHIAVI
 (il signor Rousseau)
 VENTI
 (il signor Picq, Dauvigni, Simonet, Léger)
 
 Donne schiave dell’isola di Sciro: le signore Chaumont, Rousseau, Aletta, Dupetit. Seguaci di Licomede: i signori Balletti, Delaître, Léger, Gardello, Picq, Regnault, Regina minore, Félix, Romulo, Valentin, Pietro, Grégoire. Seguaci d’Alcide: i signori Regina maggiore, Dauvigni, Simonet, Trancard, Favier, Duponcet, Lépi minore, Gasparo, Lefèvre, Casselli, Rousseler maggiore, Annello.
 
 SCENA PRIMA
 
 La decorazione rappresenta un antro fra dirupi.
 
    Comparisce Licomede estremamente pensoso ed agitato meditando il rapimento di Alceste. Sono con lui alcuni schiavi portando accese torce. Questo principe fa chiamare il suo Piloto, gli dà segretissime commissioni e si ritira, esprimendo l’eccesso della inquietudine sua.
 
 SCENA II
 
 Rappresenta la decorazione un colonnato che termina a un grand arco trionfale di là dal quale si vede il mare coperto di varie navi. Veggonsi i marinari affrettarsi ad ornarle di ghirlande, di festoni e bandieruole. Una quantità di schiavi comparisce occupata a decorare la piazza di tutti gli ornamenti convenevoli ad abbellire una festa.
 
    Compariscono Admeto ed Alceste accompagnati da Licomede e da Alcide, seguiti da un corteggio superbo e numeroso del pari che vien terminato da una schiera di lottatori, d’atleti e di combattenti. I principi e le principesse vanno a posarsi ai lochi lor destinati ed il popolo si schiera dietro la gran balaustrata fra le colonne.
    Comincia la festa dei giuochi olimpici e parecchie giovani tessale hanno l’incombenza della distribuzione de’ premi ai vincitori.
    Alceste, Admeto, Alcide e Licomede entrano a parte della festa, ma Licomede estremamente agitato, divorato dall’amore e dalla gelosia e tutto occupato dalla meditazione del suo progetto fa scorgere di tanto in tanto il dispetto che lo rode. Propone intanto ad Alceste di salire sopra la sua nave per godervi delle feste che le avea preparate. Ella vi si lascia condurre. Admeto ed Alcide la seguono, ma nell’istante che sono per passare il ponte questo si rompe e rovina nel mare. Invano Alceste invoca gli dei, invano stende le braccia allo sposo, Licomede fa dare al vento le vele e ben presto si perde di vista la nave.
    Admeto e Alcide s’imbarcano colle loro truppe per inseguire il rapitore. Teti sorge dal seno dell’onde per favorire la fuga di Licomede di lei fratello. Comanda questa dea agli aquiloni d’abbandonare le sotterranee loro caverne e correre a suscitare un orribil tempesta. Si scatenano i venti immediatamente e formano vortici i più terribili, si gonfia il mare e co’ suoi muggiti impaurisce i marinari. S’alzano le onde fin al cielo che oscurano dalle più dense nuvole pare che respinga i flutti coi fulmini strepitosi. Altri venti si lanciano sopra la terra e con i fossi loro distruggono e rovesciano quanto s’incontra all’impeto del lor furore.
    Le navi d’Admeto e d’Alcide sono già in procinto di naufragare, quando Eolo dio dei venti comparisce e comanda agli impetuosi suoi sudditi di rientrare ne’ profondi antri loro. Gli aquiloni si precipitano immediatamente nel mare unitamente coi vapori che ne avevano sollevati. Si rasserena il cielo, si calmano gli sdegnati flutti, i zefiri traversan l’aere ed il men rapido lor volo presagisce la calma e promette ad Alcide ed al compagno una felicissima navigazione.
 
 SCENA III
 
 Rappresenta la decorazione una camera nel palazzo di Licomede.
 
    Alceste fugge inseguita dal suo rapitore che la importuna per ridurla ad arrendersi alla di lui tenerezza. Alceste, costantemente al di lei sposo fedele, lo colma de’ più amari rimproveri. Egli se le getta a’ piedi e tenta ma invano di commoverla: agli inutili prieghi succedono le minacce. Una tale audacia sveglia tutto lo sdegno d’Alceste e la fa avventarsi sopra di lui e strappargli il pugnale dal fianco e minacciar di punirlo di tanta temerità. Licomede, vivamente offeso per tanta di lei resistenza, ordina alle guardie che l’incatenino, che gliela tolgan d’avanti e che sia trattata come se fosse schiava la più ribelle. In questo tempo s’ode rumor guerriero; Licomede atterrito si dà alla fuga strascinandosi seco Alceste che esprime tutto l’eccesso della sua contentezza per il soccorso che le arriva.
 
 SCENA IV
 
 La decorazione rappresenta le fortificazioni esterne dela città di Sciro.
 
    Compariscono Alcide ed Admeto alla testa delle lor truppe che intimando alla città di arrendersi, non han per risposta che insulti dalli assediati. Licomede dall’alto delle muraglia disfida gli assedianti mostrando loro l’incatenata Alceste. Questa vista risveglia in ogni core il furore. Il punto dell’attacco è fissato: arieti, balliste, mobili torri ed altre macchine militari sono avanzate verso le muraglia. Gli assediati si difendono col tiro delle frecce, lanciando pietre o gettando accesi bitumi per infiammare e distruggere le ostili macchine. Gli assalitori attaccano e intrepidamente si difendono. Alcuni dispongono e sostengono i loro scudi a dorso di tartaruca sopra de’ quali montano i soldati per gettarsi nella piazza; altri portano scale e tentano quest’altra strada allo stesso fine. Licomede, accorgendosi del vantagio del nemico, fa una sortita e Admeto gli fa fronte e si viene al combattimento. Nel medesimo tempo Alcide rovescia ed atterra la porta principale della città; s’apre la strada fra nemici col ferro e libera Alceste distruggendo quanto al di lui valore s’oppone. Gli arieti coi replicati urti loro rovinano le muraglia; i soldati tessali montano ferocemente la breccia, si gettano nella piazza trucidando il nemico. Admeto uccide Licomede, ma riceve da questo una ferita mortale. Una vista così funesta rompe ogni freno al furore delle truppe di Admeto. Corrono ad accender facelle e s’abbandonano interamente allo incendio ed alla strage. La città di Sciro, preda delle voraci fiamme, crolla ben presto e ruina dai fondamenti. La disperata Alceste piange l’amara vittoria ed abbandonatasi sul corpo del suo sposo tutto intriso di sangue, gli dà le più costanti testimonianze della più viva sua tenerezza e dell’amarissimo suo dolore.
 
 SCENA V
 
 La decorazione rappresenta un paese della Tessaglia.
 
    Si fa sentire una marcia guerriera che annuncia l’arrivo dei vincitori. I Tessali e le donne loro accorrono in folla per essere spettatori del trionfo del principe loro. I prigionieri incatenati sono condotti dai vincitori, altri sono carichi dei tesori di Licomede ed altri portano i vittoriosi trofei. Succede a questa comparsa lo sfortunato Admeto. Alcuni ufficiali dei vinti lo portano sopra di una bara composta d’aste, d’armi e di scudi framischiati con frondi d’alloro. Alceste tutta in lagrime gli viene accanto. Alcide vanamente si sforza di consolarla. Ferete, padre di Admeto, v’accorre ed un aspetto così orribile lo fa istupidire. Vorrebbe avanzarsi verso il figlio che gli stende la moribonda mano, ma il vacillante piede non gliel permette e privo di sentimento lascia cadersi alfine fra le braccia delle sue guardie.
    Alcide impone che venghino slontanati dagli occhi d’Alceste così dolorosi oggetti ed infatti Admeto e Ferete sono trasportati altrove. Alceste tenta di seguirli, ma viene dalle sue donne arrestata. Il dolore l’opprime e sta sul punto di soccombere al gravissimo peso delle sue disgrazie, quando sopra una luminosa nube di gloria si vede improvisamente comparire Apollo accompagnato dalle belle arti.
    Questo nume protettore di Admeto getta fra il popolo una cassetta e ritorna in cielo, ordinando ad Alceste di sottomettersi agli ordini del fato. Il seguito di Alceste spinto dalla curiosità corre a raccogliere la cassetta ed impaziente di sapere ciò che rinchiuda, la presenta ad Alceste. Ella è aperta ed ogni core s’agghiaccia, ogni viso cangia colore e fisionomia. La vista del pugnale che v’è dentro fa retrocedere i corteggiani pieni di spavento e d’orrore. Alceste con tremante mano impugna questo funesto dono, indi, fissando il guardo sopra il ferro, vi legge fremendo la seguente iscrizione: «Sarà immortale chi saprà da forte per salvare il suo re darsi la morte». Alceste allora attentamente esaminando gli sguardi di quanti la circondano, della fredda costernazione nella quale li vede, è fatta accorta di quanto può da questi sperare. Tuttavia porge fremendo questo ferro ad alcuni di que’ cortiggiani ch’ella contava tra più fedeli e questi lo prendon con pena, ma lettane appena la fatale iscrizione, lo rendono con isdegno. Alceste implora sì, ma invano un generoso soccorso e invano tenta di commovere quelle anime ingrate. Il popolo è insensibile ai di lei prieghi, è sorda ai di lei gridi la corte e le amarissimi di lei lagrime non hanno la forza d’intenerire le donne del di lei seguito. Tutti la fuggono, tutti l’abbandonano ed ella infine, in preda all’amarezza del suo dolore, si ritira esprimendo l’eccesso di quella disperazione onde si sente lacerare il core.
 
 SCENA VI
 
 La decorazione rappresenta un superbo monumento innalzato dalle arti per rendere eterna la memoria di quella persona che avrà sagrificati i suoi per conservare i giorni di Admeto.
 
    L’addolorata Alceste non trova più alcun conforto che nella sua tenerezza e non ha altra vittima da immolare che il proprio di lei core. Questa regina accompagnata dalle sue donne comparisce nel monumento, ne considera la tomba, quindi veggendo tutto il suo seguito penetrato dal dolore, fa un nuovo tentativo per ispronare qualche cor generoso alla conservazione della vita dell’adorato sposo. Una principessa tessala precipitosamente s’avanza al cospetto di Alceste, avendo pinta la disperazione e nel volto e negli atti e la annuncia che Admeto è ridotto agli ultimi istanti della sua vita. Alceste, preoccupata dalla sola idea d’un così imminente pericolo altro non risponde e non fa che immergersi il pugnale nel seno. Cade fra le braccia delle sue donne che tutte intorno a lei premurosamente s’addunano e la calano alfin nella tomba. Le principesse seguaci d’Alceste si prostrano intorno al monumento irrigandolo delle copiose lagrime loro; altre donne piene di desolazione spargono fiori e rami di cipresso sopra la tomba. Tutte alfine presso del monumento sono disposte in gruppi ed in attitudini ch’esprimono la costernazione ed il dolore. L’Imeneo e l’Amore, la Virtù, l’Amicizia, la Costanza e la Fedeltà sono l’emblematiche figure che adornan la tomba. L’immagine d’Alceste in atto di passarsi il core con un pugnale, s’alza insensibilmente sopra la tomba. L’Imeneo e l’Amore in abbandono alla disperazione spengono le faci loro. La Virtà, l’Amicizia, la Costanza e la Fedeltà vi sono caratterizzate esprimendo vivamente tutto cià che l’affanno e il dolore ponno aver di pià amaro. Quattro funeree lampade posate sopra colonne sostenute da loro piedestali ornati di figure, spandono un fosco lume sopra la tomba e sovra gli oggetti che la circondano.
 
 SCENA VII
 
    Admento improvisamente risanato dalla sua ferita viene in traccia d’Alceste, bramoso nel medesimo tempo di conoscere quel generoso mortale al quale egli è debitore de’ giorni suoi conservati: ma quale non è la sua sorpresa quanto all’entrare che fa nel monumento egli scorge le donne e le principesse seguaci d’Alceste prostrate a piè della tomba. Invano le interroga, invano dell’adorata sua Alceste richiede; tutte egualmente sepolte nel più atroce dolore non gli rendono altra risposta che raddoppiando le lagrime e i loro singulti. Admento fissando su la tomba lo sguardo, l’immagine che se gli presenta della sposa nell’atto d’aprirsi il petto con il pugnale, lo fa retroceder per lo spavento e l’orrore; tuttavia, benché con piè vacillante, verso la tomba s’avanza, alfine richiamando tutte le forze sue, dà di piglio ad una sbarra di ferro, spezza e rovescia la porta del monumento ed alla vista della tomba di Alceste, l’anima di lui a tutti gli eccessi del più vivo dolor s’abbandona. Abbraccia fremendo il freddo sasso che la cara metà di se stesso rinserra; invoca l’ombra dell’adorata sua sposa, dà di mano al suo pugnale in atto di volersi unir per sempre al dolce oggetto del suo tenero amore. Arriva Alcide frettoloso e gli trattiene il braccio già levato e lo disarma. Admeto, che detesta la luce del giorno, si dà tutto in preda al furore, s’avventa ad Alcide e lotta con esso e con quanti seguaci di lui che si vogliono opporre all’esecuzione del barbaro suo disegno. Si squarcia le vesti sul corpo ed, incapace di sopportar davantagio l’eccesso delle sue disgrazie, cade svenuto fra le braccia d’Alcide e di coloro che sono al di lui soccorso volati.
    S’oscura frattanto il cielo, i lampi fendono l’aere; stride il fulmine, crolla la tomba d’Alceste, s’apre la pietra che la copre, n’escan vapori, Alceste risorge e stando assisa stende languidamente la destra ad Admeto. Esce alfin dalla tomba e a lenti passi verso la porta del monumento s’avanza scendendone quindi con piè vacillante i gradini. Le di lei donne rimangono immobili a tale prodigio e Admeto, che in questo istante, rivedendo il giorno rivede la cara sua sposa, non sa credere la sua felicità ma non potendo alfine più dubitarne vola fra le braccia di lei, se le getta a’piedi ed esprime tutti quei sentimenti di tenerezza che possono occupare un’anima sensibile e riconoscente.
 
 SCENA VIII
 
    L’Imeneo e l’Amore escono dal monumento che in un batter d’occhio viene da leggere nuvole oscurato. Gli Amori e i Zefiri volano per l’aere.
    Imeneo ed Amore stringono con eterno nodo Alceste ed Admeto. Questi felici sposi danno altissimi segni della più viva riconoscenza loro a queste divinità e d’amicizia e di gratitudine ad Alcide. I seguaci d’Admeto, di Alceste e di Ercole esprimono l’eccessiva loro allegrezza e s’affollano a vicenda a circondar questi fortunati sposi.
 
 SCENA ULTIMA
 
 Rappresenta la decorazione il palazzo del Sole.
 
    Apollo vi si vede in mezzo allo splendore più grande della sua maestà. Gli altri, le Ore, le costellazioni, le muse e le arti gli circondano il soglio. Admeto e Alceste si prostrano umilmente a’ piedi di questo benefico nume e gli protestano divotamente l’amore, il rispetto e la riconoscenza loro. Un ballo generale termina questo spettacolo. I giuochi e i piaceri dall’Amor raggunati entrano a parte di questa festa. Apollo, Alceste, Admeto e Alcide ne accrescono la bellezza e tutti esprimono egualmente la contentezza e la loro felicità.